Capitolo
II II.1. Il dramma all’interno del canone o’neilliano II.1.3. Una gestazione difficile: la composizione del dramma Lontano dal clamore di Broadway, nell’isolamento della sua residenza californiana di Tao House (in cui s’era trasferito nel 1936), O’Neill potè dedicarsi con totale abnegazione e con disciplina quasi monacale alla scrittura. In un primo tempo, si occupò del lungo ciclo di drammi storici intitolato A Tale of Possessors Self-Dispossessed[1], che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto costituire il suo “magnum opus”, la cronaca dei destini di una famiglia lungo due secoli di storia americana; poi si gettò a capofitto nelle pièces autobiografiche, che reclamavano d’essere realizzate e che il drammaturgo “had been trying to write from the outset of his career”[2], riuscendovi solo quando essa volgeva ormai al termine. Si tratta dei tre drammi: The Iceman Cometh, ultimato nel 1939 e rappresentato per la prima volta nel 1946, Long Day’s Journey into Night, scritto nel 1940 e revisionato nel ’41, e A Moon for the Misbegotten, composto fra il ’41 e il ’43. Nei primi due, l’autore ritornava con la memoria ad alcuni fatti cruciali accadutigli nel 1912, quando - dopo un periodo di vagabondaggi ad alto tasso alcolico per le locande del Greenwich Village, un maldestro tentativo di togliersi la vita e sei mesi di permanenza in sanatorio per curare la tubercolosi[3] - decise di diventare drammaturgo. Possiamo seguire il sofferto processo di concezione e composizione di Journey, per il quale O’Neill cominciò a prendere appunti nel giugno 1939 e a cui lavorò nel corso dell’anno seguente, grazie al diario e ai ricordi personali di Carlotta Monterey. Il 21 giugno 1939 ella annotava:
In seguito dichiarò, con riferimento ai mesi estivi di quell’anno:
In poco più di sei mesi (da febbraio alla fine di settembre 1940), considerando anche le numerose interruzioni dovute alla malattia e al senso di demoralizzazione per le sconfitte degli alleati in Europa, che rallentarono il lavoro, O’Neill completò la prima versione del dramma. Mrs. Monterey ricorda che, alla fine di una giornata di scrittura, il marito era solito uscire dal suo studio provato, a volte perfino in lacrime: “he looked ten years older than when he went into his study in the morning; [...] he was a man tortured everyday by his own writing”[6]. Queste dichiarazioni confermano pienamente le parole che il drammaturgo appose come introduzione a Journey, dedicando la pièce alla moglie in occasione del loro dodicesimo anniversario di matrimonio, e ringraziandola per l’amore e il coraggio da lei ricevuti: nella dedica, egli si riferisce al dramma come a “a play of old sorrow, written in tears and blood”[7]. Quando si immerse nella composizione di Journey, O’Neill si trovava in condizioni psicofisiche non dissimili dallo stato di profonda crisi sperimentato nel 1912 (anno in cui è ambientato il dramma): gli sviluppi delle vicende belliche in Europa lo avevano gettato nello sconforto per i destini dell’umanità, mentre la sua salute si faceva via via più precaria. Già da qualche anno, il drammaturgo soffriva di un raro disordine neurologico, simile al morbo di Parkinson, che lo avrebbe presto costretto alla paralisi creativa: resosi conto di non avere più molto tempo a disposizione per realizzare i progetti a cui teneva intimamente, egli sentì che era giunta per lui l’ultima occasione per regolare i conti con il passato, per evocare - attraverso il filtro della creazione artistica - i propri demoni famigliari ed esorcizzarli una volta per tutte, cercando così di dar pace alla propria tormentata coscienza. Come nota Travis Bogard: “a lifetime’s psychological and physical pressures had cornered him at last. It was a moment for truth and he told it”[8]. Journey è il frutto del tentativo - messo in atto più volte da O’Neill nel corso della propria carriera, ma mai con una tale onestà d’approccio - di gettare uno sguardo all’indietro e isolare le cause della sofferenza che aveva avviluppato la sua famiglia come una rete. Sebbene il titolo della pièce suggerisca un progresso (il tempo che viaggia in avanti dalla mattina alla tarda serata), il dramma è in realtà un percorso a ritroso nella “notte” dei ricordi, che riesce a concludersi positivamente per l’autore: non nelle tenebre di una rievocazione del passato fine a se stessa, ma nella “Luce”[9] della riconciliazione e di un perdono autenticamente sentito. [1] Si tratta del ciclo di 11 drammi, che avebbe dovuto registrare l’ascesa sociale e i conflitti di una famiglia di origini irlandesi in America dalla seconda metà del Settecento agli anni Trenta del Novecento. Il leitmotiv che unificava le varie pièces era una riflessione sull’avidità e sul capitalismo yankee come forze distruttive dello spirito. O’Neill lavorò al progetto nel periodo dal 1934 al 1943, fin quando le condizioni di salute glielo permisero. Nell’inverno del 1952-53, resosi conto che non avrebbe mai potuto portare a termine l’opera, distrusse tutti i manoscritti tranne quello di A Touch of the Poet. Una copia dattiloscritta del seguito di questo dramma, More Stately Mansions, si salvò per caso e fu adattata per la scena da Karl Ragnar Gierow. In proposito si veda: Sheaffer, L., op. cit., pp. 441 e segg.
[2] “aveva cercato di scrivere lungo tutta la sua carriera”: Bogard, T., Contour in Time, New York, Oxford University Press, 1972, p. 422.
[3] Fu durante questo periodo di forzato riposo che O’Neill lesse per la prima volta le opere di Strindberg, e ne restò affascinato (in proposito si veda: Bowen, C., op. cit., p. 52).
[4] “Una notte calda, insonne. Gene mi parla per ore di un dramma (che ha in mente) su sua madre, suo padre, suo fratello e se stesso, c’è un dolore nel suo cuore per le cose che non riesce a dimenticare”. Citato in: Bowen, C., op. cit., p. 264; sull’argomento vedi anche: Peck, S., “Talk with Mrs. O’Neill”, The New York Times, Nov. 4, 1956.
[5] “Già allora non stava bene; non riusciva a dormire bene e, quando era preoccupato o nervoso, di solito veniva [nella mia stanza] e mi parlava tutta la notte del suo lavoro o di questa terribile eventualità che avremmo avuto un’altra Guerra Mondiale. Poi mi spiegò che doveva scrivere questo dramma sulla sua giovinezza e la sua famiglia. La cosa lo tormentava. Era ossessionato dal fatto di doverlo scrivere, era qualcosa che gli avvelenava il sangue e doveva liberarsene. Doveva perdonare ciò, qualsiasi cosa fosse, che aveva originato questa tragedia tra lui, sua madre e suo padre”. Ibid., p.271.
[6] “Sembrava dieci anni più vecchio di quando era entrato nel suo studio la mattina; era un uomo torturato quotidianamente dalla propria scrittura”. Ibid., p.271. A proposito del “tormento”, che la composizione di Journey costituì per O’Neill, è interessante la lettura di: Barlow, J.E., “Long Day’s Journey into Night: From Early Notes to Finished Play”, in: Modern Drama, 22:1, 1979, pp. 19-28. In questo saggio, l’autrice esamina le notevoli differenze, per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi, fra le versioni preparatorie (almeno due) e quella definitiva del dramma. Le prime versioni di Journey sarebbero dominate da sentimenti di rabbia e rancore, specialmente nei confronti del personaggio della madre, che sono decisamente attenuati nel testo pubblicato. Questo dimostra che, nel corso dell’opera di revisione, O’Neill modificò il ritratto - inizialmente assai duro - dei quattro Tyrone: la scrittura della pièce fu davvero per il drammaturgo un esercizio di compassione.
[7] “un dramma di antico dolore, scritto con lacrime e sangue”. O’Neill, E., op. cit., p.5.
[8] “le pressioni psicologiche e fisiche di una vita lo avevano alla fine messo con le spalle al muro. Era il momento della verità ed egli la narrò”. Bogard, T., op. cit., p. 422.
[9] Nella dedica introduttiva, O’Neill definisce i dodici anni di matrimonio con Carlotta “a Journey into Light” (un Viaggio nella Luce): O’Neill, E., op. cit., p. 5. |
© Copyright 1999-2007 eOneill.com |